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Capita spesso di riferire ai termini psicologo, psichiatra, psicoterapeuta la stessa valenza: molto spesso ci si confonde e si utilizzano questi termini in maniera interscambiabile. Ognuna di queste figure professionali possiede delle competenze e dei ruoli specifici che le distinguono e le differenziano nel loro operare per il benessere e la salute psicofisica delle persone.
Proviamo a chiarire insieme queste differenze!
Uno PSICOLOGO è un laureato in Psicologia, che a conclusione del suo percorso di studi (5anni), è abilitato all’esercizio della professione attraverso il superamento dell’ esame di Stato che gli consente di accedere all’iscrizione dell’Albo Professionale. Lo scopo principale del lavoro dello psicologo è la promozione del benessere della persona. Il principale strumento di intervento dello psicologo è il colloquio psicologico accompagnato, laddove necessario e utile, dalla somministrazione di test psicologici. Lo psicologo è il corrispettivo, in medicina, del medico di base, che ha la capacità di riconoscere, decodificare e leggere il problema ma non di modificarlo. Non può prescrivere famaci.
Lo PSICOTERAPEUTA è uno Psicologo o un Medico che ha conseguito una specializzazione post-universitaria in psicoterapia di durata almeno quadriennale presso scuole di specializzazione universitaria o riconosciute dal MIUR. Nel suo percorso formativo ha appreso i modelli di riferimento che gli permettono di ristrutturare la vita di chi chiede aiuto, quindi la possibilità di cambiamento. I principali strumenti di ntervento per uno psicoterapeuta quali il colloquio, la relazione, le prescrizioni terapeutiche, hanno la funzione di creare un cambiamento, nei processi psicologici o nei comportamenti, con l’intento di orientare la persona verso il ben-essere. Nell’ambito della psicoterapia vi sono molti approcci, che prevedono teorie e metodi alquanto diversi tra loro, come ad esempio l’approccio psicodinamico, sistemico-relazionale, cognitivo-comportamentale, costruttivista, funzionale, ecc. Uno psicoterapeuta non può prescrivere farmaci, se il clinico è uno psicologo e non un medico.
Uno PSICHIATRA è un medico, e perciò laureato in medicina e chirurgia, che ha poi conseguito la specializzazione in psichiatria. Questo fa sì che lo psichiatra abbia una preparazione dettagliata sugli aspetti biologici delle patologie psichiche e che, in quanto laureato in medicina, possa somministrare farmaci. Il suo intervento è solitamente focalizzato sul trattamento farmacologico, senza tuttavia dimenticare l’importanza del rapporto medico-paziente e degli aspetti psicologici che rientrano nei disturbi mentali.
Spesso psichiatri, psicologi e psicoterapeuti collaborano per fornire supporto ad una stessa persona. E’ stato dimostrato da diversi studi scientifici che si ottengono risultati di gran lunga superiori e in tempi minori, da interventi che mettono insieme un trattamento farmacologico con uno psicoterapeutico. Psichiatra e psicoterapeuta lavorano quindi su facce diverse della stessa medaglia, il disagio psichico, ciascuno con le proprie competenze, in un’ottica di integrazione mente e corpo, l’uno occupandosi di ristabilire l’equilibrio fisiologico, l’altro di ristabilire l’equilibrio psicologico.
Ancora oggi aleggiano attorno alla figura dello psicologo delle convinzioni che usiamo come giustificazione per decidere di non rivolgerci a questa figura professionale. Tali pregiudizi possono essere sfatati se provassimo ad approfondire cosa si nasconde dietro queste idee. Molte volte utilizziamo delle idee che ci sembrano più convenienti per tutelarci dalla paura che abbiamo di affrontare i nostri problemi o anche perché temiamo che gli altri possano giudicarci in maniera negativa. In merito a queste considerazioni, pensando ai motivi che ci portano a tirarci indietro rispetto alla scelta di consultare uno psicologo, ho individuato alcune giustificazioni comuni in cui potersi riconoscere nel momento in cui rinunciamo alla possibilità di un confronto professionale.
“Non sono matto!”
L’idea che lo psicologo sia un professionista della salute mentale per cui lavora solo con chi è “disturbato mentalmente” è un pregiudizio comune. Chi si rivolge ad uno psicologo/psicoterapeuta nella maggior parte dei casi è una persona che sta vivendo una difficoltà personale o relazionale, un momento di crisi, un evento stressante o semplicemente sente che potrebbe far qualcosa per stare ancora meglio e vorrebbe prendere in mano le redini della propria vita, per cambiarla in positivo, o comunque per conoscersi più a fondo.
“Chiedere aiuto è per i deboli: io sono forte!”
Al contrario! Decidere di rivolgersi ad uno psicologo è un atto di coraggio, significa infatti compiere una scelta importante per poter cambiare la propria situazione e eliminare ciò che fa soffrire, avendo il coraggio di guardarsi dentro, prendendo consapevolezza di quali sono i propri punti di debolezza ma anche (ri)scoprendo i propri punti di forza.
“Potrebbe manipolarmi la mente!”
L’idea che lo psicologo possa fare “il lavaggio del cervello” è una delle più grandi false credenze legate al concetto di stregoneria. Partendo dal presupposto che questa non è un’abilità di cui gli esseri umani sono dotati (e gli psicologi sono esseri umani anche loro) sarebbe deontologicamente scorretto imporre le proprie idee e i propri valori nel rispetto della persona. Il terapeuta si pone come guida esperta nell’esplorazione e nella ricerca di possibili soluzioni in una data situazione. Egli, infatti, non dirà mai al paziente cosa dovrebbe o non dovrebbe fare, né tantomeno dà consigli a riguardo (come potrebbe fare un amico!): ogni scelta compiuta dal paziente deve essere soltanto sua, liberamente valutata e decisa.
“Sono fatto così: cambiare è impossibile!”
È vero che tutti nasciamo con delle particolari inclinazioni, ma gran parte della personalità è frutto anche delle esperienze vissute e del modo in cui si osservano le cose, sul quale si può agire e modificare, arrivando così anche ad aumentare in maniera sensibile il proprio benessere. Talvolta ciò accade spontaneamente, grazie a determinate situazioni, all’incontro di persone speciali che fungono da motore di un possibile cambiamento. Altre volte, invece, può essere uno specialista qualificato che aiuta ad esplorare sé stessi in profondità, ad individuare quei nodi che generano sofferenza e a mostrare come modificarli.
“Nessuno può comprendere il mio dolore”
Già solo questo convincimento è ciò che in parte sostiene ed alimenta il malessere. Prima di tutto, se anche l’altro avesse vissuto la stessa esperienza, non è detto che l’avrebbe sentita, percepita e vissuta allo stesso modo; è risaputo, infatti, che la stessa situazione può essere vissuta in molteplici modi differenti. Lo psicologo in quanto professionista possiede una formazione e degli strumenti (tra cui l’empatia) che utilizza in diverse situazioni anche se non le ha vissute personalmente.
“E’ impossibile risolvere i problemi solo parlando!”
La “parola” è lo strumento principale con cui lo psicologo lavora. Attraverso la narrazione si costruiscono significati e i significati sono differenti da persona a persona. Pensiamo al confronto in una comunicazione: molte volte non ci comprendiamo proprio perché attribuiamo significati diversi alle stesse situazioni, partiamo cioè dal nostro punto di vista. Vediamo il mondo dal nostro punto di vista e quindi anche le situazioni in cui ci troviamo a vivere sono lette secondo il nostro parere. Parlare ci aiuta a cambiare il modo in cui attribuiamo significato al mondo modificando di conseguenza i nostri atteggiamenti e comportamenti.
“La psicoterapia dura troppo (e costa troppo!)”
Chi ha questa falsa convinzione probabilmente non è a conoscenza del fatto che esistano più tipi di percorsi differenti: si può andare dallo psicologo per un consulto psicologico, che di solito dura qualche incontro, per un percorso più breve o uno più lungo. Il tipo di percorso viene valutato e deciso insieme dalla coppia paziente-psicologo, in base anche agli obiettivi che essa si pone. Il paziente, in ogni caso, è sempre libero di interrompere il percorso quando vuole.
E’ necessario sapere inoltre che ci sono differenti tariffe, sia in base al motivo del consulto, sia in base al singolo specialista.
È possibile accedere a prestazioni con prezzi calmierati, generalmente nelle strutture pubbliche, ma anche in alcuni centri privati o convenzionati con il pubblico. Chiedere prima, in ogni caso, è sempre possibile, per essere informati ed evitare sgradite sorprese.
“Posso parlare dei miei problemi con un amico.”
Alcune persone ritengono erroneamente che recarsi dallo psicologo sia equivalente a rivolgersi ad un caro amico, con la differenza che quest’ultimo è anche gratuito! Magari ritengono anche che chi va dallo psicologo non abbia amici, o che comunque non abbiano nessuno con cui parlare. Le cose invece non stanno così. La natura delle due relazioni è totalmente diversa. Innanzi tutto lo psicologo non è coinvolto in dinamiche affettive col paziente e in più possiede competenze e strumenti utili ad affrontare difficoltà strutturate cose di cui difficilmente un amico dispone.
In conclusione il fatto di essere psicologi non implica l’essere dotati di capacità paranormali per cui non è possibile essere capiti al primo sguardo!
Anche gli psicologi hanno una vita normale e fuori dalla stanza di terapia sono persone comuni che svolgono un lavoro sicuramente speciale se scelto col cuore, ma pur sempre un lavoro!
Conoscere questi pregiudizi può aiutarci a guardare in maniera diversa la figura dello psicologo e a fare in modo che tale figura possa fare meno paura!
Come affrontare le conseguenze tra paura, disagio e vulnerabilità.
La diffusione dell’epidemia da Covid19 ha creato una situazione confusa tanto da suscitare incertezza rispetto al domani alimentando inevitabilmente panico nelle maggior parte delle persone. Il panico è un elemento ricorrente nelle fasi iniziali di tutti i contesti di crisi, ma una cosa sembra essere certa, la conseguenza della quarantena di massa, il cosiddetto lockdown, è la paura. Dalla paura di infettarsi, alla paura di infettare, la paura per i figli o per i genitori anziani, la paura della crisi economica, ecc. Questa è stata alimentata e amplificata inevitabilmente dalle comunicazioni sull’aumentare dei casi, delle morti e di un bollettino quotidiano che molto spesso è stato rappresentato come un bollettino di guerra.
I fattori che in questo contesto ne hanno condizionato l’evoluzione sono stati molteplici:
isolamento sociale che si associa per definizione alla perdita di controllo e alla sensazione di sentirsi in trappola.
desiderio continuo di informazioni che ha spinto e continua a spingere le persone ad affidarsi anche fonti non attendibili. (Per qualcuno l’impatto combinato di tutti questi elementi può avere un impatto psicologico molto significativo.)
ansia comune tra le persone oggetto di quarantena,
effetto discriminatorio, come sottolineato sia dall’OMS che dal ministero della salute, di stigma sociale di coloro che sono stati oggetto di isolamento o che hanno contratto la malattia e ne sono guariti.
pensieri negativi, stress, depressione, disturbi del sonno, rabbia e violenza intrafamiliare In alcuni casi, inoltre, è stata riscontrata una sensazione di impotenza nel proteggere i propri cari e paura di perderli a causa del virus e un senso di colpa e responsabilità per chi pensa di poter essere fonte di contagio, come per esempio i lavoratori in prima linea.
Le persone maggiormente vulnerabili sotto il profilo psicologico.
La definizione di “vulnerabilità” è stata ricondotta spesso implicitamente, anche dagli addetti ai lavori, all’età avanzata (l’essere anziano è un fattore di maggior suscettibilità in sé) o a patologie preesistenti che in caso di infezione potrebbero favorire nel paziente un’evoluzione più severa. Ma la vulnerabilità non è soltanto fisica, ci sono persone e lavoratori che possono essere particolarmente vulnerabili sotto il profilo psicologico e che possono richiedere interventi di sostegno personalizzati.
bambini e adolescenti, in cui l’isolamento, unito alla mancanza di routine e di ritmi regolari ha avuto un impatto importante sul loro comportamento:costretti in casa molto spesso, con uno stile di vita improvvisamente sedentario e annoiato, potrebbero manifestare una dipendenza dall’uso di dispositivi digitali; un aumento della rabbia, di capricci nei più piccoli e difficoltà ad addormentarsi.
anziani a maggior rischio di depressione e ansia, disturbi affettivi già correlati all’avanzamento dell’età, dovuta alla separazione dalle relazioni;
personale sanitario, in prima linea nella lotta al nuovo coronavirus. (Per alcuni medici e molti infermieri si parla di vero e proprio Disturbo post traumatico da stress);
le persone con disturbi psichiatrici, per le quali la gestione dell’isolamento è stata spesso complessa e molto delicata.
Possibili azioni utili per affrontare gli effetti psicologici del Covid-19 e dell’emergenza in generale.
Fare attività fisica (anche semplici passeggiate)
diminuire l’esposizione agli apparecchi digitali
trasmettere senso di sicurezza nei bambini mantenendo continuità delle attività
selezionare le notizie senza cedere ad allarmismi che aumentano l’ansia e il malessere
dare ascolto alle proprie emozioni, ma senza farsi guidare da esse o dai nostri pensieri negativi.
Infine, è importante, se abbiamo la sensazione di essere sopraffatti o di sperimentare un disagio troppo grande, valutare la possibilità di chiedere un aiuto professionale“.